Top

TEORIA PSICOANALITICA DELL’ANTISEMITISMO

di Federica Agovino 

 

“Ogni volta che c’è stata la tentazione di assorbire l’altro non si è costruito, ma si è distrutto; così pure quando si è voluto ghettizzarlo, anziché integrarlo. Quante volte nella storia è accaduto. Dobbiamo vigilare, dobbiamo pregare perché non accada più. E impegnarci a promuovere insieme una educazione alla fraternità, così che i rigurgiti di odio che vogliono distruggerla non prevalgano. Penso alla minaccia dell’antisemitismo, che ancora serpeggia in Europa e altrove. È una miccia che va spenta”. Lo dice il Papa a Budapest, incontrando il Consiglio ecumenico delle Chiese e alcune Comunità ebraiche dell’Ungheria. “Ma il miglior modo per disinnescarla è lavorare in positivo insieme, è promuovere la fraternità”, aggiunge.[1]

L’affermazione di Papa Francesco rispetto al problema dell’antisemitismo, sottovalutato da molti, negato da pochi, mi ha indotto a riflettere, ancora una volta, su quali fossero i motivi che potevano spingere a quell’odio smodato ed incontrollabile verso chi semplicemente appartiene ad un altro credo religioso, quello della religione ebraica.

Sono una psicoterapeuta, ed ho cercato di trovare una sintesi fra alcune tra le diverse teorie socio –psicologiche che anno affrontato il problema.

Spero di esserci riuscita.

°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°

All’approccio al problema dell’antisemitismo dobbiamo necessariamente premettere la conoscenza dei presupposti di pregiudizio e discriminazione.
Quotidianamente ci troviamo di fronte a situazioni nuove che affrontiamo con un giudizio basato sulle nostre passate esperienze; ecco, questo è un pre-giudizio, il quale normalmente ha la caratteristica di sapersi evolvere, di mutare col mutare delle conoscenze.
Per questo motivo Martin Wangh lo definisce “giudizio provvisorio”.[2]
Ora spostiamo l’attenzione sul pregiudizio patologico, ossia sulla “resistenza” che esclude l’osservazione dalla coscienza. E’ il caso del soggetto che non cambia il suo pre-giudizio nonostante nuovi elementi di conoscenza. La coscienza è rimossa, e contemporaneamente il soggetto proietta su altri una parte di sé.

Secondo Wangh  ciò è dovuto da un errato processo di differenziazione del se che supplisce all’angoscia derivante dalla perdita della fusione con la madre. L’uso del meccanismo della proiezione aiuta ad alleviare la pressione, indebolendo però, al tempo stesso, il senso di identità perché estrania gli impulsi del sé attribuendo a gruppi esterni tratti caratteriali propri.

Naturalmente qualcosa di ciò che è stato negato o rimosso può salire alla coscienza, ed allora può destare orrore, il quale  carica la vittima della proiezione della qualità del perturbante.
Per sintetizzare, quindi, il pregiudizio patologico può essere definito come un processo bifasico di rimozione e proiezione, che abbiamo visto essere in relazione alla prima relazione oggettuale simbiotica e determinare disturbi dell’identità.
Il pregiudizio sociale, quello di cui parliamo, diventa allora un tentativo di ridefinizione dei limiti del proprio Sé.
Tale pregiudizio sociale poggia su presupposti culturali, religiosi, sulla struttura della società.
Cercando ora di capire le basi psicologiche dell’antisemitismo, la prima domanda da porsi è: perché l’ostilità di cui vogliamo trovare spiegazione è stata diretta proprio verso gli ebrei?
Normalmente si sostiene che l’ostilità verso gli ebrei da parte dei cristiani sia da ricondurre all’uccisione di Cristo.

Un altro motivo sembra essere la presunzione del popolo ebraico di essere il “popolo eletto”.
Rimaniamo però alla superficie del problema.

Secondo Otto Fenichel se vogliamo cercare di capire da un punto di vista psicologico i motivi dell’antisemitismo dobbiamo cercare di capire che cosa è accaduto nel decennio 1925-1935 nella Germania nazista.
Fenichel dà per certo che la struttura psicologica degli individui non fosse cambiata e che la base psicologica dell’antisemitismo di massa già esistesse nel 1925.
Quindi, cosa era cambiato? Perché le masse sono state pronte ad accogliere i suggerimenti antisemiti della propaganda di massa? Quali sarebbero stati i vantaggi?
La prospettiva di liberare posti di lavoro occupati da ebrei non sembra sufficiente a spiegare il fenomeno. Bisogna considerare la teoria del “capro espiatorio”.
Spiegando, nel decennio la Germania attraversava un periodo di diffusa povertà e la popolazione era pronta a ribellarsi ai poteri costituiti seppure in conflitto con l’abitudine culturale del rispetto delle autorità.
L’antisemitismo risolveva questo problema: gli ebrei erano i nemici della popolazione e del potere costituito.
Ritorniamo alla domanda: perché proprio gli ebrei?
Fenichel, entrando nel merito della psicologia dell’ebreo parla di estraneità specifica, volendo sottolineare la resistenza all’assimilazione degli ebrei nel corso dei secoli, fenomeno dovuto all’esperienza del ghetto come esclusione dalla partecipazione della vita dell’ospitante, ma anche della volontà degli ebrei di non assimilarsi alla sua cultura, di mantenere le loro particolarità culturali, del resto cospicue. L’ebreo rimane estraneo, ma capace ed intelligente. Non sappiamo cosa aspettarci da lui; può essere malvagio, pericoloso, ostile. Ma tutte le accuse rivolte agli ebrei sono creazioni di fantasia e quindi dobbiamo cercare di capirne il significato psicologico.

D’altra parte l’idea dell’ebreo “capro espiatorio” non è nuova nella cultura tedesca. Arnold Zweig segnala le stigmate dell’antisemitismo già all’epoca della Bauernkrieg, la guerra contadina del 16^ secolo: la classe dominante riusciva a deviare anche allora il malcontento generale verso il “capro espiatorio”.[3]

  • In quella situazione di diffusa indigenza la popolazione continuava ad identificare gli ebrei col loro ruolo di prestatori di denaro e di mercanti, quindi ricchi, tralasciando il fatto che la povertà era la condizione anche di molti ebrei.

Cercando di capire i motivi psicologici che rendono queste tradizioni ancora persuasive dopo moltissimi secoli, Freud li riferisce entrambi al mito originario del parricidio da parte dell’orda, ma con atteggiamenti diversi a seconda dello sviluppo di ciascuna teoria confessionale.

La religione ebraica nega il parricidio: Mosè scompare; il diniego del parricidio rimuove la colpa e la paura della vendetta; la divinità è amorevole col suo popolo.
Ma il parricidio rimosso si esprime in maniera permanente con la sottomissione, la rinuncia pulsionale, con la castrazione simbolica (la circoncisione), indiscutibili caratteristiche del popolo ebreo.
Inoltre la cultura ebraica concepisce l’espressione dell’aggressività in modo meno manifesto di quanto concesso ad altre popolazioni. A questo consegue una maggiore varietà di forme in cui viene espressa l’aggressività indiretta: una di queste è la credenza di essere il popolo “eletto” superiore a tutti gli altri. Il carattere patriarcale della loro cultura ha impedito al figlio di ribellarsi contro il padre, e contro le autorità. Il modo di reagire all’antisemitismo è superficiale e demandato all’aiuto di Dio.

Il Cristianesimo, al contrario, rappresenta la morte di Cristo per l’espiazione del peccato originale.

Cerca di attenuare il senso di colpa attribuendo la paternità dell’uccisione agli ebrei, che rifiutano la colpa suscitando la collera del cristiano.
Lottiamo tutta la vita con pulsioni rimosse, soprattutto sessuali ed omicide. Ci difendiamo con la proiezione, cercando di vedere negli altri ciò che non ci piacerebbe vedere espresso da noi. Attraverso il meccanismo della proiezione l’ebreo diventa l’incarnazione delle pulsioni più dissolute dell’antisemita.
Lowenstein, in più, attribuisce un ruolo particolare dell’educazione cristiana nella strutturazione del Super-io infantile, che si forma a partire dalle interiorizzazioni delle istanze morali del padre.
La cultura concorre al rafforzamento di questa struttura, e particolare forza assume l’insegnamento religioso. Nel conflitto tra Cristo e gli Ebrei questi, sottomettendosi assolutamente alla legge di Mosè ed elevandosi a popolo eletto, diventano i rappresentanti di Dio ed identificati con le istanze paterne che il bambino ama ed odia al tempo stesso.
L’antisemita trova così la soluzione al conflitto latente col genitore: l’ebreo diventa l’oggetto del proprio odio ed il suo io assume il privilegio di attaccare il Super-io, di punirlo anziché essere punito.
Tutto questo non spiega però come sia stata possibile quella regressione di tutti i valori culturali occidentali che hanno portato all’antisemitismo nazista.

E non è sufficiente a spiegare neanche la teoria di Simmel secondo la quale i reduci dalla 1^ guerra mondiale fossero particolarmente abituati ad abbandonare al proprio ufficiale il proprio Super-io cosicchè, una volta tornati in patria, non riuscirono a riappropriarsi della responsabilità delle proprie tendenze aggressive proiettandole sul capo espiatorio individuato dai deliri del capo assunto (nel decennio in questione Hitler).
Se ipotizziamo, con  Lowenstein (1951),  un rapporto reciproco tra la personalità del capo ed il gruppo che lo ha scelto”, bisogna tornare alla domanda di Fenichel: cosa è cambiato?
Leschnitzer [4]    ci dice che la piccola borghesia fu quella che costituì il cuore delle SS e delle SA perché erano quelli che stavano vivendo più degli altri gli effetti della depressione economica e quindi l’angoscia di perdere il proprio status e la propria identità.

Ma quando l’angoscia suscita regressione qualcosa non ha funzionato nelle esperienze della prima infanzia.  Ed allora cerchiamo di vedere cosa può esserci in comune tra i membri della comunità dei giovani tedeschi degli anni ’30?

Wangh individua alcune influenze particolari:

  1. Lo stato contingente di estrema miseria tra il 1917 ed il 1920. Abbiamo già visto come il ceto più minacciato socialmente fosse il ceto borghese, e su questo ceto fece maggior presa la propaganda antisemita
  2. Lo stato d’angoscia delle madri, sole e nelle condizioni del punto 1. Un lattante accudito da una madre angosciata rischia la mancanza di buone relazioni oggettuali
  3. La mancanza del padre, la cui presenza è fondamentale per la formazione del super-io e dell’identità; la reazione comune all’assenza è la glorificazione del padre e la proiezione dei suoi tratti negativi sul nemico. In più, le influenze sul complesso edipico, già più forte in situazioni di vita senza il genitore di sesso maschile: la rinuncia alla madre diventa più difficile se il padre, sconfitto, non si è guadagnato questa rinuncia. E la rinuncia proietta il desiderio incestuoso: le donne sono considerate macchine per fare figli, gli ebrei perseguitati come criminali incestuosi. L’assenza del padre viene vissuta come rifiuto e provoca sentimenti svalutativi della propria dignità. Questi sentimenti di umiliazione e di disprezzo vengono proiettati sugli ebrei.
  4. L’immagine glorificata del padre  viene rappresentata con l’uniforme indossata, l’iperpatriottismo, la sottomissione all’autorità (formazione reattiva alla tensione interiore indirizzata verso il padre).
  5. I bambini cresciuti durante la guerra hanno difficoltà a gestire la tensione, e l’io deve sfogarsi attraverso l’azione, la coazione a ripetere
  6. La psicosi di massa sostituì le psicosi individuali e, nel caso del nazismo, i deliri presero il posto delle motivazioni razionali dell’antisemitismo, perché solo deliri potevano condurre al genocidio.

Aggiungiamo le  conclusioni a cui perviene Ostow come sintesi di una rassegna dedicata alla mitologia dell’antisemitismo.

  • Libro dell’Esoso: gli egiziani accusano gli ebrei di slealtà (comportiamoci bene con loro….altrimenti si alleeranno con i nostri nemici..)
  • Libro di Ester (500 anni dopo): Hamman dice a re Assuero che degli ebrei è meglio non fidarsi
  • La diffusione della Bibbia cristiana ad opera dei Padri della Chiesa propone 3 tematiche antisemitiche poi riecheggiate nelle epoche successive:
  • Il tema della rivalità tra Cristiani ed Ebrei non convertiti
  • La diffamazione: Matteo li chiama serpenti e generazione di vivere ( 23.33) e comunque ci si riferisce come persone ipocrite sporche e malvage; Giovanni Crisostomo parlò della sinagoga come un ..bordello dimora di ladri e bestie selvagge e diaboliche.
  • L’elemento del sangue: gli ebrei sono accusati della crocifissione di Gesù.
  • Durante il Medioevo l’antisemitismo divenne più cruento. Gli ebrei furono accusati di fatti di estrema malvagità a scopi rituali, e nacquero miti che avrebbero influenzato la mentalità occidentale nei secoli successivi, miti che comunque riescono a soddisfare spiegazioni di aspetti del mondo che risultano inspiegabili, per questo non riescono ad essere contraddetti. Nei casi dolorosi la spiegazione spesso tira in causa un “maligno”, un principio del male che frequentemente è stato identificato con l’ebreo.
  • L’idea del maligno: spesso dobbiamo confrontarci con l’idea del bene e del male, e poiché abbiamo uno scarso controllo delle nostre frustrazioni, tendiamo a cercare all’esterno la fonte del male. Molte religioni postulano l’esistenza di due entità divine, di cui una riesce a controllare il male. Le religioni monoteiste hanno un problema in questo senso, quello della possibilità del controllo del male da parte del Dio. Assegnando agli ebrei un ruolo affine a quello dei demoni, il problema si risolve nel senso che viene individuato in maniera più tangibile il male (l’ebreo anziché il demone), ed anche chi riesce a controllarlo (l’antisemita).
  • Conflitto di interessi, derivante soprattutto derivante soprattutto dalle disponibilità di risorse derivante dalla loro attività di prestare denaro. E’ evidente come la persecuzione del prestatore di denaro possa produrre benefici dirette al debitore. Nel “Mercante di Venezia “ di Shakespeare” l’Ebreo rappresenta il destino crudele. Perché in una Inghilterra priva di Ebrei? In realtà gli Ebrei si scontravano col commercio britannico dalla Spagna, soprattutto, e dal resto d’Europa in generale.
  • L’idea della cospirazione segreta rappresentata dai “Protocolli dei Savi di Sion”, un documento costruito artificiosamente per sfruttare l’antisemitismo a fini politici, a partire dall’epoca napoleonica. Un movimento ebraico mondiale avrebbe cospirato per arrivare a controllare tutti i governi del mondo. Attenzione all’idea della cospirazione: quando non può esserci valutazione oggettiva di fatti attribuiti a qualcuno, l’idea della segretezza riesce a rendere credibile ciò che altrimenti non sarebbe.
  • C’è poi l’antisemitismo razziale: gli Ebrei appartengono ad una razza diversa. Il concetto nasce nel XV secolo in Spagna e fu riproposto massicciamente nella Germania nazista. E’ noto come il concetto di diversità si correli a quello di estraneità e di pericolosità. L’ebreo è pericoloso anche perché estraneo. E’ interessante notare che storicamente l’Islam non aveva mai considerato gli Ebrei come nemici. Fù l’influenza dei Cristiani ad istigare l’antisemitismo, poi usato negli ultimi 3 secoli dal mondo mussulmano per fini politici. Anche per loro l’Ebreo diventa principio del male.

Ed allora, Ostow individua l’essenza dell’antisemitismo nella facilità con cui si sceglie l’Ebreo per additarlo come agente responsabile delle sofferenze delle popolazioni locali, e questa rapidità è attribuibile alla continua influenza esercitata dall’autorità cristiana.

Questa attribuzione agli Ebrei delle cause del loro cattivo destino è  relativa ad una visione apocalittica delle cose che prevede la possibilità della rinascita dopo la distruzione, visione  tipica di persone che non riescono a regolare il tono dell’umore ed oscillano tra una polarità e l’altra. E’ facile incontrarla:

  • nel paziente depresso, ossessionato da pensieri suicidi ma i cui sogni rilevano speranze di rinascita;
  • nel paziente euforico, che può sperimentare sensazioni di disastro imminente a cui segue l’illusione della rinascita;
  • al paziente aggressivo ( pazienti con disposizione affettiva labile), che, combattendo contro una dinamica interiore deve scegliere un nemico esterno contro cui combattere (l’ebreo).

Se è vero che la parola Apocalisse significa rivelazione, nella accezione antisemita la rilevazione riguarda proprio la colpevolezza degli Ebrei per le sofferenze della popolazione. Quindi devono essere distrutti.

La mentalità del pogrom trasforma il pregiudizio antisemita in persecuzione.

Il gruppo di lavoro di Ostow[5] ci dice come quasi tutti i persecutori antisemiti provengano dalla popolazione fondamentalista i cui membri, secondo N.T. Ammermann[6] non riescono a tollerare il disordine e l’incertezza e devono ricorrere ad un testo sacro assolutamente non ambiguo.

Fuori della comunità ci sono i malvagi e solo la comunità fondamentalista verrà risparmiata dalla distruzione apocalittica.

Secondo Hofstader[7] i fondamentalisti mostrano un atteggiamento paranoide e si oppongono alle regole della società che li circonda. Si contrappongono alla religione ed alle gerarchie religiose istituzionali, rifiutano la scienza (soprattutto la teoria dell’evoluzione) e teorizzano principi semplici di ricompensa e punizione. Il loro è un gruppo omogeneo i cui membri fondono le identità all’interno di un’identità di massa. “ E’ come se la formazione del gruppo rappresentasse di per se stessa la realizzazione allucinatoria del desiderio di prendere possesso della madre tramite una modalità regressiva, quella della fusione primaria….l’io di ogni persona viene esteso a quello di tutto il gruppo. I soggetti perdono la propria individualità ed il gruppo diventa omogeneo. Identificandosi con la totalità del gruppo e fondendosi col loro leader ogni singolo acquisisce un Io onnipotente[8] “ .

Accanto all’amore incondizionato per i membri del gruppo c’è l’ostilità nei confronti degli estranei, ostilità che va a consolidare il legame di gruppo che si pensa possano essere in pericolo.

L’ideale del gruppo e del leader sostituiscono quello personale. Ed anche l’esame della realtà viene ceduto al leader: è reale solo quello che il leader definisce reale. In questo modo il gruppo perde i riferimenti morali generali e la capacità inibizione: la colpa non appare più.

Questo atteggiamento paranoide   rende i gruppi fondamentalisti particolarmente inclini ad accettare l’individuazione della popolazione ebrea come responsabile del Male tout court e la loro eliminazione necessaria all’eliminazione del pericolo dell’apocalisse.

Nella visione apocalittica il leader era ispirato dal divino e la sua rivelazione si presenta come una profezia, una nuova interpretazione ispirata alle sacre scritture: diventa fonte della rivelazione ed indica la strada per ad una riunione con la divinità, che aveva abbandonato la comunità a causa dell’elemento maligno (gli ebrei).

Altri studi connettono  ai fenomeni psichici di massa la patologia narcisistica, sia per la identificazione in un leader su cui viene proiettato l’ideale narcisistico dell’io, sia perchè il narcisismo comporta sempre un’operazione di sospensione della temporalità, della storia, tipica anche dei negazionisti  e dei revisionisti.[9]

Grungerberger[10] afferma che il narcisismo affonda le sue radici nella vita prenatale, quando il feto assume dalla madre tutto in maniera piacevole e gratuita. Il nucleo narcisistico nascerebbe proprio da questa unione privilegiata che infonde nel bambino un senso di supremazia ed onnipotenza. Ed anche subito dopo la nascita queste sensazioni saranno rafforzate dal  particolare rapporto della diade madre/figlio. Su questa base nasce la naturale propensione a sopravvalutarsi, una mancanza di obiettività connessa alla sensazione di invulnerabilità, di immortalità, di megalomania, di caratteri divini, in definitiva.

Ma con la crescita l’illusione incontra dei limiti:

  • il bambino deve riorganizzare la propria vita su una base relazionale ed oggettuale: i bisogni ed i desideri non dipendono solo da se ma dal mondo oggettivo in cui si trova;
  • si rende conto che non può rimanere legato alla madre come lattante, ne può legarsi a lei come adulto perché ancora impotente sessualmente. Secondo Smirgel[11] il divieto dell’incesto sarebbe un’invenzione del bambino per salvare il suo narcisismo, per nascondere la sua condizione d’impotenza.
  • altre persone, tra cui il padre, occuperanno il posto della madre ed il bambino dovrà affrontare aspetti relazionali con cui si dovrà misurare per crescere

Sempre a proposito del narcisismo, Grunberger e Dessuant propongono alcune considerazioni sulla personalità di Cristo, e quindi, di un giovane ebreo che rifiuta la figura dei padri e si identifica con Dio.
Attacca gli ebrei perché, come rappresentanti della legge di Dio, si oppongono al suo narcisismo, e trasforma il narcisismo in religione.
Ed il narcisismo assume valore assoluto quando la fede (l’amore e la fiducia in sé, narcisismo assoluto) prende il posto della legge (il culto del Padre).
Alcuni elementi contribuiscono ad una elaborazione narcisistica del cristianesimo: la nascita verginale e l’esclusione di un padre, quindi; l’idea della povertà e della castità, ad escludere i contatti col mondo reale (paterno), il rifiuto delle pulsioni.
Tutto questo evoca il culto mariano entrambi non presenti nel cristianesimo delle origini: il culto mariano si afferma nel IV secolo per concludersi col dogma dell’immacolata concezione nel 1854, che staccherà definitivamente Cristo dalla sua ascendenza ebraica; il celibato ecclesiastico arriva solo nell’ XI secolo per motivi politici (concentrazione del potere in alcuni) ed economici (accumulazione della ricchezza). La rinuncia alla paternità non è più volontaria ma diventa un obbligo. Gli ecclesiastici saranno risarciti della paternità sottratta con l’attribuzione di una loro superiorità morale rispetto agli uomini sposati.
L’esclusione dalla fertilità costituisce ancora una diversità, sostanziale, dall’ebraismo, diversità che causa invidia e quindi ostilità. Ma non è la sola differenza.
Il padre degli ebrei è capace di amare e perdonare ma anche imporre norme e di punire a protezione di una madre dilagante. Proprio la mancanza di un padre adeguato come Abramo, Giacobbe e molti altri, l’astratto Dio- legge ebraico diventa per i Cristiani Dio- padre.

Per gli Ebrei il Messia atteso non è un Dio ma un profeta; la divisione tra divino ed umano è assoluta. E solo Dio diventa depositario del narcisismo, avendo attribuite tutte le qualità a questo riferibili. Ed in questo senso diventa un argine al narcisismo, alla regressione verso la madre, ad un orientamento verso il padre.
Al contrario, il cristiano, ad imitazione di Cristo, fa una scelta narcisistica, verso il materno, una scelta che vede il mondo materiale minaccioso delle proprie aspirazioni di perfezione. L’ossessione per la purezza,  del sangue o della razza, esprime proprio il timore della contaminazione del mondo materiale.
La distruzione totale della popolazione ebraica avrebbe eliminato le regole paterne.
Ma, la conseguenza estrema del narcisismo è il suicidio, e possiamo considerare, con Luisa Accati, il nazifascismo come un “fenomeno di autodistruzione sociale organizzata in cui la licenza di uccidere gli ebrei …ha nascosto quello che stava per accadere: una ecatombe …a cominciare dai nazisti e dal fuhrer stesso”[12]

                                                                                                        Federica Agovino (psicoterapeuta)

[1] https://www.dire.it/12-09-2021/666961-papa-francesco-in-europa-serpeggia-ancora-la-minaccia-dellantisemitismo/
[2] Martin Wangh, “Considerazioni psicoanalitiche sulla dinamica e la genesi del pregiudizio, dell’antisemitismo, del nazismo”, in “Psyche”XVI, 1962
[3] Otto Fenichel, “teoria psicoanalitica dell’antisemitismo”, da “ Anti-semitism: A social desases”, 1946
[4] Leschnitzer R.M.,” The Magic Background of Modern Anti-Semitism: An Analysis of the German-Jewish Relationship”, International Universities Press, .1956
[5] Riunito dal Fondo per la Ricerca e lo Sviluppo Psicoanalitico nel 1981 per cercare una comprensione psicoanalitica dell'antisemitismo
[6] N.T. Ammermann, “ Bible believers: Fundamentalist in the modern world”, 1989.
[7] R. Hofstader, “Anti-intellectualism in american life”, 1962
[8] Janine Chasseguet-Smirgel , “ The Ego Ideal: A Psychoanalytic Essay on the Malady of the Ideal”, 1985, pg  82..85
[9] F. Petrella, “Il problema del narcisismo e l’istanza di B. Grunberger, in B. Grunberger, “Il narcisismo, torino, Einaudi 1998
[10] Cit.
[11] Chasseguet_Smirgel, “ la maladie d’idealitè”,Parigi, 1990
[12] L. Accati, "Il timore del padre e il rifiuto della legge. L 'antisemitismo come patologia sociale", in: "Studi in onore di Giovanni Miccoli", 2004, pp. 458
Share
Translate »