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La stimolazione cerebrale profonda per la cura della depressione

di Federica Agovino (Psicologa)

La depressione è un grave problema di salute pubblica: secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità,è la maggior causa di invalidità nel mondo e provoca un elevato numero  di suicidi.

Per quel che riguarda l’Europa, offre di depressione circa il quindici percento della popolazione, in forme più o meno severe, con un costo sociale che ricopre circa il quaranta percento della spesa totale per le malattie mentali.

La  psicologia clinica, a parte i casi di depressione grave in cui si valuta un reale rischio di suicidio per i quali è necessaria , in prima istanza, una terapia farmacologica, consiglia – per sollevarsi dalla depressione – un sostegno psicologico che miri a trasformare il pensiero depressivo, ( irrazionale, negativo, distorto,) in un pensiero più positivo e realistico.

Il depresso interpreta se stesso in maniera alterata, ma le sue convinzioni non sono congruenti alla realtà perché non sono basate su fatti concreti. Il futuro offre situazioni che non riuscirà mai ad affrontare. Bisogna dimostrare l’infondatezza di questi pensieri.

Per riuscire in questo la mia proposta di sostegno – sono una psicologa clinica – non potrebbe prescindere dalla costruzione di una buona relazione terapeutica che permetta di educare il paziente alla depressione e, successivamente l’analisi dei pensieri automatici ed i loro collegamenti con le emozioni, la proposta di compiti, via via più difficili, da svolgere nella giornata, che permettano di verificare il senso di autoefficacia del paziente e di migliorare la propria autostima.

La mia attenzione, tuttavia, in questi giorni , è caduta su un articolo di “The Lancet Psychiatry Online First E-mail Alert – October 11, 2017” intitolato “Decipheringdeep brain stimulation for depression “che riporta i risultati di alcuni studi[1][2] sulla Neurostimolazione cerebrale profonda (DBS) per la cura della depressione grave resistente (ai trattamenti tradizionali).

Siamo evidentemente lontani dal mio campo operativo e dalle mie conoscenze, ma ritengo sia doveroso proporre la conoscenza di ogni tecnica che possa essere di aiuto nel raggiungimento del benessere psicofisico.

Ritorniamo agli studi citati.

La stimolazione cerebra

le profonda consiste nell’applicazione cronica di impulsi elettrici di bassa intensità e di elevata frequenza in determinati punti bersaglio del cervello. Per questo è necessario l’impianto chirurgico di elettrodi collegati a un generatore alimentato da una batteria posizionata sottocute nel torace. Si può quindi parlare di pacemaker cerebrale. “Il vantaggio di questa terapia – sottolinea il professor Lavano – è la sua reversibilità, al contrario del tradizionale intervento chirurgico; infatti grazie alle ridotte dimensioni del pacemaker cerebrale e alla sua programmabilità, si può parlare veramente di intervento mininvasivo e di assoluta personalizzazione della terapia”[3].

Gli studi di Holtzheimer e colleghi hanno presentato i risultati di uno studio che ha esaminato  gli effetti antidepressivi della DBS sul cingolato subcalloso in 90 pazienti per 6 mesi evidenziando  risposte con  percentuali di remissione di circa il 50% o più.

Cercando ancora, ho trovato l’esperienza del  gruppo di ricerca statunitense guidato dalla dottoressa Helen Mayberg, il quale ha sperimentato la stimolazione cerebrale profonda ancora con l’impianto di un elettrodo ancora nell’area subcallosa del giro cingolato. Ebbene, nell’arco dei due anni durante i quali i pazienti sono stati seguiti, la stimolazione ha effettivamente eliminato o limitato i comportamenti depressivi in tutti: in alcuni quasi immediatamente, in altri a distanza di un anno dall’inizio della terapia[4].

Sembra però che l’interruzione della stimolazione segni la ricomparsa dei sintomi depressivi.

C’è da dire, inoltre, che non altrettanto efficace s’è dimostrata la scelta di Thomas Schlaepfer dell’Università di Bonn, di stimolare il nucleusaccumbens[5].

Allora il successo del trattamento dipende dall’abilità dell’operatore nell’individuare con precisione la particolare zona da trattare?

La questione è aperta, ancora di più prendendo in considerazione i risultati degli studi, pubblicati nel New England Journal of Medicine, dei ricercatori dell’ospedale universitario di San Paolo (HU-USP) e dell’Istituto di psichiatria dell’ospedale dasClínicas (HC-FMUSP-IP), in Brasile, che dimostrano come la tDCS risulti meno efficace dell’escitalopram, un farmaco antidepressivo[6].

E la ricerca continua, se è vero, come asserisce il prof. Thomas Schlaepfer, che l’insuccesso di alcuni studi non determina il fallimento del principio della neurostimolazione.

Federica Agovino

[1]Holtzheimer PE, Kelley ME, Gross RE, et al. Subcallosal cingulate deep brain stimulation for treatment-resistant unipolar and bipolar depression.

[2] Lozano AM, Giacobbe P, Hamani C, et al. A multicenter pilot study of subcallosal cingulate area deep brain stimulation for treatment-resistant depression. J Neurosurg 2012; 116: 315–22.

[3] http://www.cattedraneurochirurgiacz.it/casi_clinici-8.html

[4] https://scienze.fanpage.it/una-stimolazione-cerebrale-per-guarire-dalla-depressione/

[5] https://scienze.fanpage.it/una-stimolazione-cerebrale-per-guarire-dalla-depressione/

[6] http://www.stateofmind.it/2017/09/depressione-tdcs-farmaci/

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