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Covid-19 da Mamma e da Psicologa

siamo qui oggi al fine di interrogarci su alcune condizioni emotive che si stanno sviluppando in seguito al lockdown per il Covid-19 nelle mura domestiche e lo chiediamo a Ilaria Bandini Psicologa e Psicoterapeuta, una delle Consulenti che sempre ci ha aiutato a rispondere alle lettere nei nostri soci e utenti che visitano il sito web dell’Associazione Sviluppo Europeo.

ASE: Cara Ilaria, grazie per il tempo che ci dedicherai, questa volta saremo noi a consultarti, chiedendo per favore una Tua personale opinione, non solo da esperta, ma questa volta anche da mamma;

Ilaria: intanto ti ringrazio per avermi interpellato in qualità di Psicologa e Psicoterapeuta, e soprattutto di madre di un bambino di 7 anni. Non vi nascondo che il doppio ruolo sia impegnativo e difficile; personalmente, non avendo la mia famiglia a Roma, ho scelto, dalla nascita di mio figlio, di dedicarmi prevalentemente a lui, riducendo notevolmente il lavoro clinico e continuando a impegnarmi, tuttavia, nella ricerca e nell’aggiornamento.

ASE: grazie, la ragione di questa mia, insolita, intervista, è proprio perché in molti hanno scritto alla nostra Associazione chiedendoci lumi su due aspetti, la condizione dei bambini e degli adolescenti, ahimè, apparentemente dimenticati nei vari decreti e, non meno importante, l’aspetto invece delle persone sole, per questa ragione e per la situazione anomale che stiamo tutti vivendo, abbiamo preferito farci nostre le domande che rivolgeremo a te, riscontrando proprio nella sua persona: la mamma, la psicologa e, la persona che, per ragioni di lavoro, spesso rimasta lontana dagli affetti familiari.

Iniziamo dai primi:

ASE: come ritieni si stiano adattando i bambini e gli adolescenti a questa condizione? Cosa sta cambiando nella loro percezione del mondo e come stanno cambiando loro?

Ilaria: Consentitemi una premessa. Personalmente, ho sempre considerato che mio figlio, figlio del XXI secolo e di tutto quello che ne consegue, avesse la necessità di confrontarsi con la realtà in continua evoluzione come nell’utilizzo degli strumenti tecnologici, e di starne al passo.

Così come Noi venivamo introdotti (anche troppo) ad un utilizzo della Tv più massiccio dei nostri genitori, i bambini dal 2000 ad oggi, hanno avuto la necessità di essere introdotti alla comprensione e all’utilizzo dei nuovi strumenti di comunicazione, dei pericoli del vasto mondo di internet e dei temuti social network, ma anche delle immense potenzialità di questi strumenti, in fatto di connessione, crescita e conoscenza. Almeno a parere mio, non da tutti condiviso.

Fino al fermo che ci è stato imposto, la scuola e gran parte della società conservatrice, vedeva negli strumenti tecnologici, qualcosa ancora di pericoloso, non adatto ai nostri bambini e potenzialmente dannoso per i nostri adolescenti. Questo è sicuramente vero nella misura in cui non si sa con cosa ci si sta confrontando e non si sa come utilizzarlo e soprattutto gestirlo.

Improvvisamente, però, il “nemico”, è diventato strumento necessario per permettere un minimo di continuità scolastica e di relazione con l’esterno, imponendone, da parte della scuola, un utilizzo addirittura eccessivo in alcuni casi, per consentire di portare avanti i beneamati (e antichi) programmi scolastici.

ASE: quindi c’è stato un ripensamento?

Ilaria: La contraddizione è evidente. E con essa l’impreparazione della scuola ad affrontare la situazione. Tanto che si sono create delle vere e proprie spaccature tra una fascia della società e un’altra; ad esempio c’è chi ha avviato un massiccio utilizzo delle video lezioni, e chi non è stato in grado di garantire neanche un’ora di connessione al giorno ai propri studenti.

Tutto questo è importante perché non si può parlare di bambini e ragazzi se non si parla di scuola, infatti, la scuola dell’infanzia, primaria, secondaria, fino alle superiori rappresenta dopo la famiglia la principale agenzia educativa, e, come abbiamo tutti sperimentato in questi due mesi, è stato anche uno dei temi maggiormente discussi e sentiti dalle famiglie italiane con figli.

Come mamma, sono stata trascinata in prima persona in questo vortice fatto di nuove abitudini, nuovi ritmi e, come tutte le cose nuove, anche di nuovi problemi!

Come tutte le famiglie, anche io con la mia, allargata, infatti siamo 3 più 2 a settimane alternate, ci siamo trovati ad affrontare una realtà alla quale non eravamo preparati e ci abbiamo messo un po’ di tempo per ammortizzare lo shock e riuscire a riorganizzare una quotidianità meno improvvisata e caotica, come quella dei primi giorni.

Tutto era rimasto uguale a prima, ma diverso: il lavoro, la scuola, il gioco, la casa stessa, che ha acquisito anche una forma diversa… per stare tutti a casa e consentire ai tre ragazzi di seguire le lezioni online e a mio marito di lavorare, ho dovuto anche riorganizzare i mobili in alcune stanze!

Da mamma mi sono travata a fare i conti con la mia ansia e le mie preoccupazioni e con quelle di tutti i membri della mia famiglia, soprattutto il piccolo di 7 anni che i primi giorni era pieno di domande; forse non tanto in ansia come noi grandi, ma pur sempre necessitante di spiegazioni appropriate al perché di tutto quanto stava accadendo;

ASE: una volta preso atto della situazione, in che modo hai cercato di adeguarti?

Ilaria: Preso il primo scossone abbiamo più o meno capito come organizzarci e soprattutto ci siamo dovuti dare delle regole, che rispetto a prima, diventavano fondamentali per restare tutti rinchiusi in casa senza litigare o impazzire! Allora, una volta capito gli orari delle lezioni online della scuola di ogni uno (cosa che ci ha messo almeno una settimana ad arrivare!) abbiamo in maniera un po’ automatica , un po’ decisa a tavolino, stabilito delle routine specifiche per ogni uno e delle altre uguali per tutti: improvvisamente era diventato necessario decidere in maniera condivisa l’orario della sveglia, chi stava dove e fino a che ora, gli orari del pranzo, delle pause, degli altri “impegni online”.. il tutto non dimenticando di non fare rumore. Si, perché il rumore, anche minimo, dai microfono dei pc si sente… e si crea una gran confusione.

Perciò regole chiare e da rispettare. Da psicologa posso anche dire che la necessità di impostare dei ritmi e delle routine come i ritmi circadiani e l’orario dei pasti è stato fondamentale per riuscire  a mantenere una certa sanità mentale senza perdersi nell’ozio, nel caos o nella noia… per concentrarsi, nel lavoro o nella lezioni online o nello studio, c’è bisogno di avere un setting chiaro e pulito e ordinato come ad esempio sempre la stessa stanza per ogni uno, più o meno sempre gli stessi orari per lezioni o compiti…la definizione di uno spazio e di un tempo ordinati e possibilmente costanti e regolari, sono fondamentali, come d’altronde nelle sedute di psicoterapia, per avere quella cornice che permette di dedicarsi a qualcosa senza perdersi.

La regolarità e con essa la prevedibilità di spazio e tempo, consente alla mente di non dover processare anche questa informazione e risolvere ogni volta anche questo problema del dove mi metto, che libri mi devo portare dietro e così via… consentendo di dedicare la massima attenzione alla lezione o al compito da eseguire.

Complice l’indecisione delle scuole, questo non è stato subito possibile, infatti, mio malgrado, devo dire che la scuola in questo frangente ha avuto delle pecche enormi… come si può mandare  un compito per l’indomani, la sera alle 18.30/19 ? come si fa a stampare pagine e pagine di esercizi presi da altri libri, quando anzitutto, siamo già pieni di libri, e poi, si è impossibilitati a stampare perché i negozi sono chiusi e la cartuccia è finita? Come si può non pensare che i bambini/ragazzi, abituati ad uscire a fare delle attività sportive, hanno bisogno di spazi personali di gioco o di svago che tra le lezioni e i compiti si sono ridotte al minimo? Si potrebbe andare avanti per molto… Quello che voglio dire è che tutto questo caos ha generato ansia e incertezza: se l’ansia può essere definita come la percezione di una minaccia esterna rispetto alla mia capacità di poterla padroneggiare e di potervi fare fronte, noi, non potevamo non essere ansiosi e dare il meglio di noi in una situazione del genere dove la minaccia esterna era un virus letale e sconosciuto, e contro il quale nessuno sapeva cosa fare!

ASE: hai ritenuto proporzionato o sufficienti le misure adottate dalle istituzioni per affrontare l’emergenza?

Ilaria: Le istituzioni e la scuola, operando come hanno fatto, non ci hanno aiutato né concretamente né psicologicamente. Perciò a tutte quelle mamme o ai papà che si sono arrabbiati una volta di troppo con i figli che gli chiedevano aiuto, e ora si sentono un po’ colpevoli, io dico di non sentirvi né in colpa né affranti, perché l’impreparazione alla situazione e le conseguenti imposizioni dall’esterno, sono state nemiche della nostra capacità di gestire le nostre emozioni più distruttive.

Regolare le emozioni, che tradotto nella vita di tutti i giorni può significare ad esempio essere capaci gli sopportare una situazione fastidiosa, non farsi bloccare dall’ansia di fronte ad un compito, o mantenere la calma di fronte ad una ingiustizia, è possibile solo se si è in una cornice che ci permette di operare in serenità: il virus, l’incertezza della salute e del futuro, la caoticità  delle informazioni, non sono stati certo, il terreno adatto per dare il meglio di sé: le famiglie hanno faticosamente dovuto fare delle rinunce alla propria libertà, rinunciare a progetti e attività, ridurre o modificare il lavoro, rivedere il proprio stile di vita, allontanarsi dagli affetti, o addirittura restare da soli, isolati. Tutto questo ha inciso sulle nostre capacità di regolare le emozioni, di gestire gli stati d’ansia e con ciò si è complicata la nostra capacità anche di progettare, pianificare e portare a termine compiti o lavori, che malgrado tutto, invece, siamo riusciti a portare avanti.

Se questo vale per i grandi, figuriamoci per i più piccoli, o gli adolescenti!

Tutti viviamo con le nostre famiglie, ma abbiamo anche la necessità di avere uno spazio privato, personale di sviluppo, fondamentale nel caso dei più piccoli, alla crescita e al processo di individuazione. Con il lockdown, molti dei nostri figli, sono stati catapultati in un cambiamento quasi radicale della loro quotidianità: sono stati costretti ad utilizzare strumenti che fino a ieri mamma, papà o la maestra, dicevano di evitare, hanno dovuto rinunciare a gran parte della libertà personale, hanno dovuto rinunciare agli amichetti, agli affetti, e non ultimo hanno dovuto reprimere una parte delle loro energie e l’utilizzo del corpo!

Tutto ciò ha determinato il crescere dell’ansia, della frustrazione e soprattutto della confusione dentro di loro. Ma i bambini diversamente dagli adulti, non sempre riescono a verbalizzare questi stati emotivi (dipende dall’età e da altre variabili).

La situazione è sicuramente molto diversa per i bambini e per gli adolescenti.

Per i bambini si può fare un discorso in più fasi: i bambini, a fronte di un iniziale entusiasmo per la percezione di essere in vacanza e per il divertimento di vedere i loro amichetti online, sono poi incappati nella disillusione del divertimento, fino alla delusione di dover abbandonare la loro vita “normale”, quando la cosa continuava a protrarsi.

Al piacere, di stare con mamma e papà, entrambi a casa, entrambi insieme, si è aggiunta la delusione quando hanno capito che della scuola sarebbe rimasta solo la fatica.

ASE: in che modo pensi sia cambiato la percezione della scuola per i bambini?

Ilaria: Questa situazione ha portato molti bambini ad opporsi alle lezioni online, ai video degli insegnanti, a distrarsi durante le lezioni, e in molte occasioni alla manifestazione di stati di inquietudine, ansia, oppositivitá nei confronti della scuola e degli stessi genitori. Comportamenti del tutto normali, data la situazione! E adesso?

Più volte, mi sono trovata a confrontarmi con altre mamme e con le mie amiche rispetto alla gestione di questi comportamenti dei nostri figli, e il mio consiglio, o meglio, la mia indicazione da psicologa, è sempre stata la stessa che ho applicato anche a me stessa e a mio figlio e da considerare soprattutto se questi comportamenti sono nuovi per il bambino:  il mio consiglio è di non insistere, bensì di tollerare.

Se il bambino rifiuta di sedersi davanti allo schermo o di fare i compiti, questo può significare molte cose, ma costringerlo o minacciarlo o punirlo non farà che aumentare la sua frustrazione e contrarietà. Perciò, senza punire la manifestazione di dissenso del bambino, questo poi andrà accolto nella sua emozione. In genere, aiutare un bambino significa aiutarlo a verbalizzare i suoi pensieri negativi e a trovare una soluzione a quello che per lui sembra un problema insormontabile. Perciò, ma questo dovrebbe essere un principio generale, premiare e non punire, comprendere e sostenere, contrattare e condividere una soluzione al problema.

Qualcuno potrebbe obiettare che questo significherebbe concedere al bambino di fare capricci ogni qualvolta vuole ottenere qualcosa, ma, non è esattamente così; educazione emotiva vuol dire aiutare il bambino a comprendere le proprie emozioni e i motivi che lo portano al comportamento “negativo “e aiutarlo a trovare una soluzione migliore per esprimerle o regolarle.

Ad esempio, sto osservando una certa tendenza alla regressione soprattutto di bambini dai 7 anni in giù.

Ma cosa vuol dire regredire? Regredire significa, ad esempio, voler tornare a dormire nel lettone con i genitori.

E perché questo accade? Accade perché il bambino che piano piano si separa dai genitori e diventa indipendente, procede verso il suo percorso evolutivo in maniera più o meno costante.

Ma cosa succede se questo percorso si interrompe? Succede che molti bambini si bloccano e tornano per così dire indietro, attuando comportamenti appartenenti ad un momento evolutivo pregresso il più delle volte alla ricerca della protezione e rassicurazione necessarie in un momento di crisi. In una situazione del genere, concedere al bambino di dormire con i genitori, non farà che rassicuralo e farlo sentire protetto, e, in un momento in cui ogni certezza è andata perduta, sapere che i genitori ci sono e sono stabili e sono lì per me, può fare una grande differenza: mio figlio ad esempio, mi ha fatto tante domande sul coronavirus (alla fine lo ha persino disegnato e costruito con i lego)… lui, dati i suoi  sette anni, non riusciva a comprendere che cos’è un virus, ma sapeva che era pericoloso e che le persone a cui voleva bene, e lui stesso, potevano contrarlo e addirittura morire… era letteralmente sconcertato, confuso, e tentava disperatamente di mettere insieme i pezzi! Io e il padre, medico, abbiamo cercato di spiegargli di cosa si trattava, non minimizzando la situazione (i bambini lo sanno quando qualcosa non va!), ma cercando di adattare la spiegazione al suo livello di comprensione.

Alla fine gli ho fatto vedere cos’è un virus con delle immagini online… è a quel punto che ha potuto dare una forma a qualcosa di inafferrabile, e se qualcosa ha una forma, è allora che si può comprendere e addirittura combattere!

ASE: ma per i giovani più grandicelli, pensi la situazione sia stata più accettabile per loro?

Ilaria: Per gli adolescenti, a mio avviso la condizione è stata addirittura peggio. Anzitutto sono stati costretti a sospendere quello che è vitale per lo sviluppo di un ragazzo specie nell’età adolescenziale, ovvero la vita di relazione con tutto quello che ne consegue, poi, sono anche stati catapultati in giornate iper impegnate tra scuola, compiti, attività online che hanno favorito l’isolamento di chi già aveva tendenze ad isolarsi e la frustrazione con conseguenti stati di rabbia, tensione e nel peggiore dei casi, comportamenti distruttivi, di chi ha visto la propria vita bloccarsi improvvisamente, e le richieste della scuola e della famiglia addirittura aumentare data anche la forzata vigilanza, che non ammette défaillance.

Infatti, a fronte di una necessità di rendere questo momento più agevole per i ragazzi, la scuola, di nuovo, ha attuato un processo totalizzante e quasi persecutorio, peggiore di quello che già non si verifica normalmente; infatti, se nella vita pre-covid, a bilanciare le iper richieste di performance della scuola c’erano le uscite con gli amici, le fidanzate/i e le attività sportive e ludiche, adesso, si è instaurato un “regime” volto unicamente alla necessità di aderire ai programmi ministeriali, che ha schiacciato gran parte dei ragazzi dai 12 ai 18 anni.

Questo perché, a fronte di uno pseudo interesse per mantenere la formazione e “non far perdere nulla ai nostri ragazzi”, ci si è assolutamente dimenticati di considerare i risvolti psicologico emotivi di questa situazione badando unicamente al dovere.

Questo è un grave errore del sistema scolastico e dei vertici che lo dirigono, a mio sommesso giudizio, in quanto, a fronte di una millantata attenzione alle esigenze emotive dei giovani, la burocrazia e la rigidità di cui siamo pervasi, ha prevalso.

Qual è il motivo per cui i bambini e i ragazzi amano (alcuni) andare a scuola? La didattica? No

La conoscenza? No

La responsabilità? No

La risposta è la relazione.

L’interazione con i pari, il gioco, la ricreazione e le attività da fare tutti insieme che bilanciano la fatica dello studio e dei compiti.

Pertanto anche laddove si è riusciti ad impostare delle faticose lezioni online, non ci si è posti il problema di come adattare i programmi e le richieste della scuola (compiti a casa, materie fondamentali, Interrogazioni, compiti in classe) alla nuova realtà, all’ emergenza.

Quello che è accaduto, dunque è che i nostri bambini e ragazzi, hanno vissuto ancora più faticosamente questo periodo di reclusione forzata, perché assolutamente non motivati a partecipare alla “nuova didattica”, ma perseguitati dalla stessa. Dannosamente oltre che inutilmente. Sappiamo, infatti, che tutti verranno promossi a fine anno!

A questa punizione data dalla reclusione, si è pertanto aggiunta la assenza di attenzione reale al bambino, all’adolescente, al suo modo di percepire la reclusione, il distacco, l’immobilitá davanti al video e ai compiti. Difatti, stanno aumentando le segnalazioni di disturbo dell’adattamento con forte componente psicosomatica (mal di testa, stanchezza fisica, difficoltà di concentrazione) proprio nella fascia di età tra i 10 e i 18.

Aiutare un adolescente in una condizione di tale privazione risulta molto difficile anche perché sappiamo che per quanto i genitori si impegnino, il giovane rivendica la sua individualità anche attraverso il distacco e il mantenimento dei suoi “segreti”. Segreti che vanno concessi e rispettati a patto che ci sia la consapevolezza da parte del ragazzo che la famiglia é dalla sua parte e che può “utilizzarla” nel momento del bisogno. Adottare sin da bambini un atteggiamento non giudicante, ma tollerante e comprensivo sebbene fermo e definito, creerà quella condizione per cui i ragazzi sapranno che la famiglia e lì per loro e non contro di loro.

ASE: rispetto alla scuola e alla stessa in forma telematica cosa ritiene si stato fatto e cosa no, quali sono le criticità?

Ilaria: Io non credo che ci si sia dimenticati dei bambini, degli adolescenti e delle persone sole, piuttosto, credo ci sia, come c’era anche prima, una sorta di errore di fondo da parte delle istituzioni. É almeno dall’89 (dichiarazione dei diritti del fanciullo), infatti, che si discute dei diritti fondamentali e si lavora per porre maggiore attenzione alle persone più deboli e soprattutto ai bambini, alla loro formazione, al rispetto delle loro peculiarità.  Questo almeno come principio teorico.

La realtà è che poi ci si incastra in una visione delle realtà solo statica e in meccanismi faticosi e antichi che, a fronte di buoni propositi di qualcuno, perdono progressivamente di vista il punto di partenza di cui sopra. L’individuo, il suo benessere e il suo rispetto.

A questo punto, la tanto ostentata attenzione alla persona e ai bambini viene inesorabilmente sottomessa a meccanismi contorti, burocratici e macchinosi che non portano alla realizzazione di nulla a fronte di belle parole, buoni propositi e apparenti progetti grandiosi.

Questo per dire che, per riuscire veramente a fare qualcosa di utile e buono, bisogna, a mio parere, non perdere di vista il suddetto principio teorico e, a favore di ciò, semplificare il sistema, tenere a mente i bisogni fondamentali e perseguire obiettivi semplici e chiari tenendo ben presente la realtà nella quale siamo inseriti.

Perciò come ho già detto sopra, la scuola, ha unicamente evidenziato quello che era già un problema prima del covid, ovvero l’incapacità di stare ai tempi e di rispettare il ragazzo comprendendolo e accompagnandolo in un percorso di crescita, sicuramente senza dimenticare la preparazione.

Ma qui c’è stato un completo smarrimento di questo principio educativo e formativo della scuola, evidenziando come la scuola non sappia calibrare il proprio intervento calandolo nella realtà dei ragazzi. Tanto meno lo ha fatto in questo momento di smarrimento e ansia, diventando di nuovo, un persecutore incapace di stimolare e motivare i ragazzi allo studio, ricorrendo ai soliti modelli “persecutori e punitivi”, peggiorati dalla distanza e dalla mancanza di vie di fuga!

Quando io e il padre di mio figlio ci siamo accorti della sofferenza dei nostri ragazzi, soprattutto di quello di sette anni data dalla assenza di tutto lo spazio ludico di cui disponeva prima del lockdown, abbiamo cercato momenti di condivisione domestica alternativa: ad esempio abbiamo deciso che la sera alle 20 si cenava e successivamente si sceglieva un film in tv da vedere tutti insieme. Mio figlio si è appassionato ai film “storici” come Troy, ricordando il viaggio della estate scorsa in Grecia alla scoperta dei siti archeologici. Questo ha aiutato a riattivare una funzione psichica fondamentale per i bambini che è il “fantasize ” winnicottiano.

ASE: rispetto, invece, alle persone che proseguono ad essere isolate, che anche dal 4 maggio non potranno incontrare amici e si ritrovano da soli in casa, e con queste persone intendo vedovi, vedove, single, individui che per vari motivi (credo di appartenenza politico, identificazione di genere) hanno interrotto i rapporti, magari loro malgrado, con le famiglie di origine, tutte le colf e badanti, che terminato il lavoro tornano a casa da sole, cosa pensi? Secondo Te cosa si aspetta accada psicologicamente?

Ilaria: Dopo il danno anche la beffa. Senza andare troppo lontano, io stessa a Roma non ho parenti se non mio figlio e mio marito, perciò anche io ho notato che l’apertura del 4 maggio per me sarebbe stata piuttosto limitante! Ma io sono comunque fortunata, ho mio figlio e suo padre, delle amiche con cui sono in contatto anche se da lontano perché siamo tutte capaci di usare chiamate, videochiamate messaggi e via discorrendo… ma pensiamo veramente alle persone sole, single nel migliore dei casi, alle vedove, alle persone anziane, ai malati che spesso non hanno nessuno che si cura di loro… per queste persone uscire, andare al parco, a fare la spesa, vivere il quartiere anche solo per incontrare passeggiando il fruttivendolo. Sono momenti di incontro preziosi, che per qualcuno, forse, valgono anche il rischio di prendersi una malattia mortale!

Fatta questa necessaria premessa, io credo che la pseudo riapertura del 4 maggio non abbia fatto altro che confondere ancora di più le persone su quello che sarà il nostro prossimo futuro.

Non ci sono certezze, non ci sono punti di riferimento e in questa condizione le strade che si possono percorrere sono due a mio avviso, semplificando: da una parte ci saranno tutte quelle persone che sempre più angosciate, tenderanno a chiudersi sempre di più fino a deprimersi sviluppando un senso di mancata speranza e una visione del futuro sempre più catastrofica e senza via di uscita, d’altro canto la reazione sarà di rabbia e frustrazione e comporterà la perdita ulteriore di fiducia nelle istituzioni che ci governano, incrementando il sentimento di riscatto delle persone, di rivendicazione dei propri diritti, che verrà interpretato con un sempre minore rispetto delle regole imposte.

D’altronde, la spinta affettiva che ci porta verso l’altro avrà la meglio sulla paura e varrà il rischio di una malattia o di una multa! Mia madre è stata molto chiara… “quando rivedrò mio nipote, lo bacerò e abbraccerò…se poi mi prendo il coronavirus, morirò felice!”

Sicuramente una posizione forte, ma che rispecchia la volontà di una buona parte della popolazione che soffre l’isolamento e la solitudine da due mesi. É notizia di questi giorni di tentati suicidi da parte di dodicenni, e suicidi, ahimè riusciti, al sud Italia di persone adulte… non sappiamo se il coronavirus, l’isolamento, la pressione sociale, scolastica o la frustrazione c’entrano qualcosa, ma di sicuro, questi dati non sono meno gravi dei contagiati da covid-19.

A questo punto però voglio anche proporre una prospettiva diversa, che probabilmente è la stessa che ho cercato di elaborare per me stessa per fare fronte alla difficile situazione: in questo problema collettivo, che ci ha colti tutti di sorpresa ho piacevolmente notato che esiste anche tanta gente con enormi risorse, in grado di resistere e reggere il peso della situazione e ricavarne anche qualcosa di buono.

Possiamo dire che abbiamo avuto modo di fermarci e pensare e ripensare la nostra vita normale, pregi e difetti; abbiamo avuto modo di “incontrarci” di nuovo nelle nostre case, (e nelle chat tra amiche!) guardandoci in maniera diversa dal solito e, spesso, supportandoci l’un l’altro; personalmente ho apprezzato la possibilità di vedere mio figlio in una pseudo-situazione scolastica, con i suoi amichetti, i suoi compiti, le sue difficoltà e le sue risorse;

ho apprezzato la creatività di molte persone che non si sono lasciate sconvolgere da tutto questo, ma hanno saputo riorganizzarsi e far fronte alle difficoltà e alle emozioni negative che ci hanno assalito nei modi più disparati, la musica, l’arte, il cinema, l’ironia dei social… sono solo alcuni esempi; l’ironia di internet è qualcosa di sorprendente, che non ci ha fatto sentire soli e ha saputo farci sentire più vicini che mai, anche con le persone lontane nella nostra stessa situazione.

Ho apprezzato una grande capacità di resilienza di adulti, bambini e ragazzi che hanno saputo fronteggiare le difficoltà; amici alle prese con lo smart working in casa con i propri figli, hanno saputo tenere duro per sé e per loro, sicuramente non senza fatica, ma in maniera encomiabile.

Genitori e figli che hanno anche saputo ritrovarsi, riscoprirsi e condividere.

Insomma, questa è la parte “bella”, e sarebbe un peccato non riconoscerla! Anche in ragione del fatto che, come tentiamo di fare attraverso la psicoterapia, ampliare la nostra visione delle cose e quindi assumere dei punti di vista diversi, decentrati, e osservare il mondo da più prospettive, aiuta a considerare tutte le variabili in gioco e a sviluppare quelle risorse di adattamento necessarie per fronteggiare situazioni diverse e mutevoli e non incappare in rappresentazioni negative di Se, del mondo e del futuro, prive di speranza, come purtroppo si verifica nelle persone che si deprimono.

Mi fa comunque piacere evidenziare che alla carenza istituzionale per così dire ufficiale, dall’altra parte, molti tecnici come noi psicologi e psicoterapeuti (ma anche altre categorie!) si sono resi disponibili e hanno prestato gratuitamente la loro esperienza a supporto di chi ne avesse bisogno.

A titolo personale, come molti dei miei Colleghi, continuerò a rispondere, nei limiti del possibile, a tutti i consigli che i genitori continueranno a chiedermi, dove non sarà necessario seguire un percorso di terapia ben specifico, un buon consiglio potrebbe sicuramente aiutare ad affrontare meglio situazioni di difficoltà.

Grazie Ilaria per averci reso partecipi della Tua esperienza personale, sperando di aver così potuto rispondere almeno ad alcune delle tante domande che ci chiedono di rivolgere agli Esperti che collaborano con l’ASE “a titolo gratuito”, ci piace ricordarlo.

a cura dello Staff ASE

intervista a Ilaria Bandini Psicologa e Psicoterapeuta

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