
Pensioni Personale militare
Diritto al ricalcolo, riliquidazione e pagamento del trattamento pensionistico mediante applicazione dell’esatto “coefficiente di rendimento”
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Rispondiamo all’Associazione Sviluppo Europeo relativamente alla questione giuridica avente ad oggetto l’accertamento – in favore del personale militare e dei soggetti equiparati – del diritto al ricalcolo, riliquidazione e pagamento del trattamento pensionistico mediante applicazione dell’esatto “coefficiente di rendimento” di cui all’art. 54 D.P.R. n. 1092/1973, in luogo di quello di cui all’art. 44 del citato decreto, finora utilizzato dall’Istituto Nazionale per la Previdenza Sociale (INPS).
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Occorre premettere alcuni brevi cenni.
La legge 8 agosto 1995 n. 335 ha innovato il sistema di calcolo dei trattamenti pensionistici introducendo il principio della “commisurazione dei trattamenti alla contribuzione” e ha distinto tra i soggetti che alla data del 31 dicembre 1995 avessero maturato un’anzianità contributiva di oltre diciotto anni, e coloro che, alla medesima data, avessero maturato un’anzianità inferiore.
Per i primi l’art. 1 comma 13 della citata disposizione ha stabilito che la pensione venisse liquidata interamente con il sistema retributivo; per i secondi la legge ha previsto l’adozione del c.d. sistema misto, disponendo al comma 12 che la pensione è determinata dalla somma: “a) della quota corrispondente alle anzianità acquisite anteriormente al 31 dicembre 1995 calcolata, con riferimento alla data di decorrenza della pensione, secondo il sistema retributivo previsto dalla normativa vigente precedentemente alla predetta data; b) della quota di pensione corrispondente al trattamento pensionistico relativo alle ulteriori anzianità contributive calcolato secondo il sistema contributivo”.
Ciò premesso, si evidenzia che – con riguardo all’aliquota da applicarsi per determinare la quota di pensione retributiva – il D.P.R. n.1092/73 ha disposto all’art. 44 che “la pensione spettante al personale civile con l’anzianità di quindici anni di servizio effettivo è pari al 35 per cento della base pensionabile; detta percentuale è aumentata di 1,80 per ogni ulteriore anno di servizio utile fino a raggiungere il massimo dell’ottanta per cento” e all’art. 54 che “la pensione spettante al militare che abbia maturato almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile è pari al 44 per cento della base pensionabile, salvo quanto disposto nel penultimo comma del presente articolo. La percentuale di cui sopra è aumentata di 1,80 per cento ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo”.
Il problema che si pone oggi all’attenzione deriva dalla circostanza che, sebbene il D.P.R. n. 1092/73 sia chiaro nel distinguere il trattamento spettante al personale civile e quello spettante al personale militare, l’INPS ha affermato che la quota di pensione retributiva da riconoscere al personale militare va calcolata come per il personale civile, e cioè applicando l’aliquota del 35% – e non quella del 44% – “aumentata di 1,80 per ogni ulteriore anno di servizio” prestato fino al 31 dicembre 1995.
Ad avviso dell’Istituto previdenziale, infatti, l’art.54 troverebbe applicazione nella sola ipotesi di cessazione dal servizio con “almeno quindici anni e non più di venti anni di servizio utile” e non anche nel caso di prosecuzione del servizio successivamente al ventesimo anno di servizio.
E ciò in quanto – secondo la tesi dell’I.N.P.S. – la ratio ispiratrice dell’art. 54 del D.P.R. n.1092/73 sarebbe da rinvenirsi nell’esigenza di erogare un congruo trattamento di pensione al personale militare costretto a lasciare il servizio anzitempo (15/20 anni di servizio utile) con la conseguenza che tale norma non potrebbe trovare applicazione al personale che abbia invece proseguito il servizio oltre il ventesimo anno.
Tale tesi non è condivisa dall’orientamento maggioritario della Corte dei Conti che in più pronunce ha censurato l’erronea interpretazione fornita dall’I.N.P.S in quanto porta a privare di significato l’art. 54, il quale, se al primo comma prevede che “l’aliquota ivi indicata vada applicata a coloro che possiedano un’anzianità contributiva compresa tra i 15 e i 20 anni”, nel comma successivo aggiunge anche che “la percentuale di cui sopra è aumentata di 1.80 per cento ogni anno di servizio utile oltre il ventesimo”.
Nello specifico, come evidenziato dalla Corte dei Conti Sardegna nella sentenza n. 2 del 4 gennaio 2018, la lettura combinata dei primi due commi dell’art. 54 conduce logicamente a ritenere che: “la disposizione del comma 1 non può intendersi limitata a coloro che cessino con un massimo di venti anni di servizio (come opinato dall’INPS), atteso che esso (art.54, al secondo comma) prevede che spetti al militare l’aliquota dell’1.80% per ogni anno di servizio oltre il ventesimo” e, dunque, “la disposizione non avrebbe senso qualora si accedesse alla tesi dell’amministrazione”.
La Corte dei Conti ha inoltre evidenziato che “la disciplina di cui all’art. 54, poi, non è affatto connotata dal carattere della specialità, in quanto definisce i criteri di calcolo della pensione normale per tutti i militari, prescindendo dalle cause di cessazione dal servizio ed è applicabile, indistintamente, a tutti coloro che abbiano maturato la minima anzianità di servizio di quindici anni per accedere alla pensione, stabilita dal precedente art. 53, comma 1, del D.P.R. n. 1092/1073” (Corte dei Conti, sez. I giurisdizionale centrale di appello, sentenza n. 422/2018).
Pertanto, secondo l’orientamento oggi predominante della Corte dei Conti, per i militari che alla data del 31 dicembre 1995 vantavano un’anzianità di servizio utile inferiore a 18 anni e ai quali, dunque, la pensione viene liquidata in parte secondo il sistema retributivo e in parte con il sistema contributivo, per ciò che concerne la prima parte continua a trovare applicazione la disposizione di cui all’art. 54 del D.P.R. n. 1092/1973 (in tal senso cfr. Corte dei Conti, sez. giurisdizionale per la Regione Liguria, sent. n. 9/2019; Corte dei Conti, sez. giurisdizionale per la Regione Sardegna, sent. n. 2/2018).
Ciò consente ai soggetti che abbiano subito un errato calcolo del proprio trattamento pensionistico da parte dell’I.N.P.S. di adire le competenti autorità giudiziarie per ottenere l’accertamento del diritto al ricalcolo, riliquidazione e pagamento del trattamento pensionistico mediante applicazione dell’esatto “coefficiente di rendimento” di cui all’art. 54 D.P.R. n. 1092/1973.
Ebbene, in proposito, l’applicabilità di tale aliquota è riconosciuta al Personale militare, con la precisazione – secondo quanto parrebbe ricavarsi dalla giurisprudenza e dalla dottrina in proposito – che lo status di militare è sufficiente sussistesse al momento dell’arruolamento e non per l’intera carriera del soggetto.
Se ne desume ragionevolmente, quindi, contrariamente a quanto sostenuto da un isolato orientamento, che possono vantare il diritto alla riliquidazione della pensione mediante l’applicazione dell’art. 54 del D.P.R. n. 1092/1973, per la parte di trattamento pensionistico calcolato con il sistema retributivo, anche gli appartenenti alla Polizia di Stato, purché arruolati prima del 25 giugno 1982, data a partire della quale la Polizia, nel nostro Paese, è stata smilitarizzata, passando da corpo di polizia ad ordinamento militare a corpo di polizia ad ordinamento civile.
Ciò con la conseguenza che il personale arruolato in tale corpo successivamente alla data indicata dovrebbe essere considerato personale civile e, quindi, non soggetto all’applicazione dell’aliquota di rivalutazione di cui all’art. 54 cit. prevista per il personale militare.
A sostegno di tale conclusione giova evidenziare che la giurisprudenza ha riconosciuto la suddetta aliquota maggiorata anche ai dipendenti del corpo di Polizia Penitenziaria, alla condizione che gli interessati si fossero arruolati prima del 15 dicembre 1990, quando, con la legge n. 395/1990, è stata disposta la smilitarizzazione nel nostro sistema ordinamentale anche di questa forza di polizia.
Per completezza giova evidenziare che la vicenda giuridica del personale della Polizia di Stato come appena descritta appare in ogni caso fortemente illegittima, quantomeno illogica, per via della disparità di trattamento (pensionistico) che si è venuta a creare in seguito alla smilitarizzazione, in primis, tra il personale del medesimo corpo di Polizia arruolato prima (militari) e dopo (civili) il 25 giugno 1982 ai quali, nonostante l’identità di mansioni svolte, può teoricamente essere applicata un’aliquota diversa anche solo essendosi arruolati a distanza di una settimana gli uni dagli altri.
Secondariamente, va anche considerata l’illegittima disparità di trattamento pensionistico che si verrà a determinare tra i dipendenti della Polizia di Stato, arruolati dopo la smilitarizzazione ai quali andrebbe applicata la minor aliquota per il personale civile, ed il personale dell’Arma dei Carabinieri (militari) che, nella sostanza del rapporto di lavoro quotidiano svolge gli stessi incarichi, le stesse mansioni, con gli stessi orari, con lo stesso scopo istituzionale ovvero il mantenimento dell’ordine pubblico e, soprattutto, con gli stessi rischi dei rispettivi omologhi del Corpo di Polizia di Stato.
Va anche evidenziato che con la legge di smilitarizzazione con la quale il corpo militare venne disciolto e sostituito dall’odierna Polizia di Stato, venne espressamente stabilito che esso sarebbe divenuto un corpo civile ad ordinamento speciale. L’ordinamento speciale consiste nel mantenimento di un inquadramento paramilitare necessario per la corretta esecuzione degli ordini e comunque indispensabile per il mantenimento dei rapporti operativi con le altre Forze di Polizia italiane, ancora militari.
Altra circostanza di fatto da tenere in debita considerazione circa la reale volontà del legislatore del 1981 di non creare una distinzione/discriminazione dal punto di vista giuridico tra forze di polizia a status militare e quelle a status civile, è rappresentata dall’art. 61 del Dpr n. 1092/1973, che già nella sua formulazione originaria (prima della cd militarizzazione del Corpo Forestale dello Stato avvenuta con la Legge Madia 7/8/2015 n. 124 e succ. D.Lgs 19/8/2016 n. 177) disponeva che al personale dei Vigili del Fuoco e al Corpo Forestale dello Stato (personale non militare) si applicassero le disposizioni stabilite per quanto riguarda il trattamento di quiescenza per le categorie militari.
Infine, già il Consiglio di Stato, nel 1983, si era pronunciato su tale questione pensionistica affermando che: “nessuna incidenza avrebbe avuto la smilitarizzazione della Polizia di Stato sul trattamento di quiescenza, che rimane quella più favorevole prevista per i militari”.
Tale disparità di trattamento pensionistico a parità di condizioni potrebbe in via di principio anche condurre al sollevamento di una questione di legittimità costituzionale per violazione del combinato disposto dell’art. 3 (principio di uguaglianza) ed art. 36 della Costituzione.
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Alla luce di quanto su esposto può rilevarsi che possono presentare ricorso i soggetti che:
- ricevono una pensione liquidata con il sistema misto retributivo-contributivo dall’INPS e che alla data del 31 dicembre 1995 vantassero un’anzianità contributiva compresa tra i 15 e i 20 anni;
- appartengono al personale militare o cui sia applicabile la medesima disciplina, con le seguenti precisazioni:
- Carabinieri (cui risulta oggi accorpato l’ex Corpo Forestale dello Stato), Esercito, Marina militare, Aeronautica: il ricorso è sempre esperibile;
- Polizia di Stato: il ricorso è esperibile da chi si sia arruolato prima del 25.06.1982; per chi si sia arruolato dopo tale data, il ricorso è esperibile rilevando l’eccezione di disparità di trattamento rispetto agli arruolati precedentemente;
- Polizia penitenziaria: il ricorso è esperibile da chi si sia arruolato prima del 12.1990; per chi si sia arruolato dopo tale data, il ricorso è esperibile rilevando l’eccezione di disparità di trattamento rispetto agli arruolati precedentemente;
- Vigili del Fuoco: è sempre esperibile il ricorso, ai sensi di quanto stabilito dall’art. 61 del D.P.R. n. 1092/1973.