
L’accordo di serparazione può essere revocato per dolo
GIUSTIZIA
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L’accordo di serparazione può essere revocato per dolo
La Suprema Corte di Cassazione, con la pronuncia n. 8096 depositata in data 21.04.2015, ha stabilito il principio per il quale la sentenza che recepisce l’accordo di separazione o il divorzio congiunto può essere revocata per dolo. Nello specifico, il caso sottoposto all’attenzione dei Giudici Ermellini, tratta di un ex marito che aveva simulato la vendita della sua azienda per poi farla riacquistare dalla sua nuova compagna. Con questo espediente era riuscito a concordare un assegno di mantenimento più contenuto rispetto alla sua reale capacità patrimoniale.
In particolare, il Tribunale non aveva fatto altro che recepire l’accordo di separazione tra i coniugi mentre, la successiva scoperta del raggiro ha fatto scattare una domanda di revocazione della sentenza. La Corte di Appello, accogliendo le ragioni della donna la quale era riuscita a dimostrare che la vendita della società (fatta oltretutto a un prezzo irrisorio) era simulata e che la capacità reddituale dell’ex marito era molto più consistente, ha pronunciato la revocazione della sentenza impugnata.
Il marito ha proposto ricorso in Cassazione e, sul punto, con la sentenza in commento, i Giudici hanno precisato che, nella separazione consensuale e nel divorzio congiunto, si stipula un accordo che, frequentemente, soprattutto per i profili patrimoniali, si configura come un vero e proprio contratto. E’ evidente, quindi, che sotto il profilo procedurale non si è trattato di dichiarare la nullità dell’accordo, quanto di revocare la pronuncia di separazione o divorzio vertendosi in un tema di dolo revocatorio. La Corte ha ravvisato nel caso di specie che sussistono tutti i presupposti della revocazione ex art. 395 n. 1, c.p.c. che si verifica quando “viene posta in essere intenzionalmente un’attività fraudolenta consistente in artifizi e raggiri, diretti ed idonei a paralizzare o sviare la difesa avversaria e a impedire al giudice l’accertamento della verità, facendo apparire una situazione diversa da quella reale e, così, pregiudicando l’esito del procedimento”.
La Corte ha rigettato, pertanto, il ricorso presentato dal marito.