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25 novembre Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne

In occasione della giornata della violenza sulle donne – qualche riflessione

Federica Agovino Psicologa, attivista Associazione ASE

(immagine anteprima di Alberto Cariati)

Siamo state amate e odiate, adorate e rinnegate, baciate e uccise, solo perché donne.

(Alda Merini)

La giornata della violenza sulle donne mi spinge ad alcune riflessioni sull’argomento.

L’art 1 della Dichiarazione ONU sull’ ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE (1993) recita:

-E’ “violenza contro le donne” ogni atto di violenza fondata sul genere che abbia come risultato, o che

possa probabilmente avere come risultato, un danno o una sofferenza fisica, sessuale o psicologica per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, che avvenga nella vita pubblica o privata. La violenza domestica, non è solo violenza fisica, ma anche psicologica, sessuale ed economica-.

Nelle teorie si descrivono normalmente tre fasi della violenza di genere, che si ripetono con continuità fino, a volte, all’omicidio della donna.

Ed allora, si inizia con la violenza verbale e psicologica, la forma di violenza più “tenue” ma che tuttavia inizia a provocare la paura dell’abbandono nella donna.

Nella seconda fase si manifesta la violenza fisica: percosse, ripetute ed anche gravi, a cui spesso segue un finto pentimento, la negazione o la minimizzazione dell’atto violento ed una richiesta di

riappacificazione. Da un punto di vista psicologico è una fase molto pericolosa per la donna che ad ogni perdono rafforza il suo legame malato e la sua dipendenza.

La terza fase è quella della violenza indiscriminata e senza pentimenti, quella che può portare all’omicidio.

Si potrebbe dire, superficialmente, che la donna in fondo può essere libera di andarsene, di lasciare il suo aguzzino, di denunciarlo alle forze di polizia, senza considerare però il fatto che normalmente alle tre fasi di espressione della violenza si associano quei meccanismi psicologici che inducono la donna a rimanere sottomessa alle vessazioni dell’uomo che ha vicino.

Parlo dell’intimidazione, spesso con minacce o violenze verso di lei o le persone care, dell’isolamento indotto con l’allontanamento da amici e parenti, della svalorizzazione, con conseguente sensazione di inadeguatezza e di angoscia.

L’analisi psicologica del fenomeno, necessariamente riferita alla nostra cultura, non può che partire dall’analisi dello stereotipo del “maschile” proposto nel nostro quotidiano.

Il mondo degli spot pubblicitari è quello che evidenzia per primo ed in maniera palese l’idea dell’uomo dominatore, orientato alla prevaricazione piuttosto che al sentimento, dell’uomo che “non deve chiedere

mai”, e tantomeno alle donne; si prende quello che vuole e quando vuole.

Solo a titolo di esempio la pubblicità di un noto profumo…l’uomo ottiene ciò che vuole ad uno schiocchio di dita…dove visibile alle spalle dell’uomo una donna pronta ad “abbracciarla”.

Il modello è culturale ed ha le radici nell’infanzia del maschio, ineducato alla gestione dei sentimenti e delle relazioni e privo degli strumenti necessari alla comprensione del mondo femminile.

L’idea del possesso invece di quella della relazione fondata sullo scambio e sulla conoscenza.

Riferendomi al lavoro di Renzo Carli,[1] “le due dimensioni entro le quali si organizzano le relazioni sociali sono quelle del possedere l’altro o dello scambiare con l’altro. Il possesso esaurisce la simbolizzazione emozionale dell’altro, negandone l’estraneità, è la fantasia che, spesso, identifica le relazioni tra uomo e donna”, evidentemente a discapito della donna.

E se ci riferiamo ai dati statistici, è proprio il movente del possesso/passionale il più frequente negli episodi di violenza sulle donne e spesso consegue all’interruzione di un legame che l’uomo è incapace di accettare nella realtà.

Immagine di Freepik

Ma non è il solo, purtroppo. Rimane anche lo zoccolo duro degli stupri, legato evidentemente anch’esso ad incapacità di gestione della relazione, ma anche alla considerazione resistente, ma forse anche stimolata, della donna come oggetto, passivo, del desiderio maschile.[2]

Con riguardo alla prevaricazione maschile, bisogna rilevare poi come la nostra cultura, maschilista, induca spesso il femminile ad una visione di donna che pensa ancora inconsciamente di aver bisogno di essere dominata da un uomo.

Ma non deve essere necessariamente così.

Riane Eisler ci propone una teoria dell’evoluzione culturale basata su due modelli organizzativi: quello androcratico, violento e autoritario che vede la donna quale soggetto subordinato, e quello ginocentrico, fondato sulla collaborazione e la parità tra i sessi.

Nel corso della storia abbiamo visto, e vediamo ancora oggi, le conseguenze del predominio maschile, ma la Eisler ci dimostra che la guerra tra gli uomini e tra i sessi non è determinata divinamente o biologicamente, e che è possibile ricercare nel passato gli strumenti per costruire un futuro vivibile in maniera migliore per entrambi i generi.[3]

La strada da percorrere, allora, nasce da una rieducazione delle nuove generazioni

Non è sufficiente, infatti, considerare la violenza maschile contro le donne soltanto un reato da punire con pene anche severe, ma è necessario collocare il fenomeno all’interno di un contesto sociale e culturale.

Cultura e contesto sociale segnano il limite tra il comportamento “normale” e l’abuso secondo interpretazioni che risentono dei valori attribuiti alla persona umana, come il rispetto o meno verso tutti gli esseri umani.

E solo in questo modo potremo riuscire a disinnescare i molti stereotipi riferibili agli attuali modelli “relazionali” uomo/donna quali il mito maschilista della virilità, l’idea secondo la quale alla donna piace

essere “possedute”, magari con violenza, la riduzione della sessualità al possesso del proprio oggetto sessuale, ecc.ecc…

E’ ovvio che questo sforzo debba necessariamente basarsi sul concetto del rispetto dell’altro, della libertà di amare e di avere esperienze sessuali.

“L’amore è così rispettoso della persona amata che conferisce libertà. E se non dà libertà, non è amore; è qualcos’altro.” (Osho Rajneesh)

Federica Agovino

 

[1] R.Carli, R.M.Paniccia, Analisi della domanda, Il Mulino, 2003.
[2] https://www.interno.gov.it/it/stampa-e-comunicazione/dati-e-statistiche/omicidi-volontari-e-violenza-genere
[3] R. Eisler, Il Calice e la Spada, Frassinelli, 2006.

 

 

Campagna “…Questo NON è AMORE” 2022

Opuscolo informativo della campagna

con dati, storie e numeri utili per difendersi

a cura di poliziadistato.it

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